Tutela del credito e abuso del processo.

Il creditore che agisce in giudizio e che incrementa ingiustificatamente spese eccessive e/o evitabili a danno del debitore pone in essere una condotta abusiva ed illegittima.

Cassazione Civile, Sez. III, 17 marzo 2021, n. 7409 – Pres. Vivaldi – Rel. Rossetti

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Il caso.

Caio, in qualità di ricorrente-creditore, propose dinanzi al Giudice di Pace opposizione a sanzione amministrativa (per violazione del Codice della strada).

Vinto il primo grado, il Giudice liquidava a titolo di spese legali la somma di € 60,00; in ragione di ciò, Caio notificava la sentenza alla P.A. interessata (in data 1 luglio 2009).

Il Comune (il 30 luglio 2009) comunicava al difensore di Caio che a far data dal 3 agosto 2009 sarebbe stata messa (in pagamento e) a disposizione la somma di € 82,62, invitando il Creditore al ritiro della somma.

Nonostante tale comunicazione, Caio rimase inerte per oltre un anno e mezzo ed in specie sino al 4 novembre 2011, quando diede impulso all’azione esecutiva nei confronti del Comune, precettando una somma di € 622,32, ossia un importo pari al decuplo della sorte inziale (frutto della somma del credito di cui alla sentenza, oltre alle successive spese di esecuzione).

Il Debitore si oppose all’esecuzione deducendo di aver già adempiuto, mettendo a disposizione la somma dovuta sin dal mese successivo alla data della richiesta e, quindi, agendo in conformità alla legge (termine di 120 giorni, di cui al D.L. n. 669 del 1996, art. 14, conv. dalla L. n. 30 del 1997).

Il Giudice di Pace, con sentenza del 2013, ha definito la fase di merito dell’opposizione accogliendo le difese del Comune.

Il Creditore soccombente ha appellato la decisione; il Tribunale, in sede di appello, con sentenza del 14 marzo 2017 ha rigettato il gravame, evidenziando altresì che Caio, ove non ritenuto sufficiente l’importo liquidato con riferimento alle spese di lite da parte del Giudice di Pace (con la sentenza del 2009 per sé favorevole), avrebbe dovuto impugnare il relativo capo della sentenza.

Il Creditore, non convinto, ha impugnato la sentenza d’appello con ricorso per Cassazione. Alla base delle proprie difese Caio ha sostenuto che il Tribunale avrebbe dovuto riconoscere il diritto del creditore alla refusione delle spese di lite anche per le prestazioni legali successive alla sentenza, specie in assenza di pagamento spontaneo del debitore, nonché il diritto al rimborso di € 5,30 a titolo di spese che il Debitore indebitamente aveva sottratto dal dovuto per attività burocratiche (pur in mancanza, in tal senso, di una richiesta espressa del Creditore).

Infatti, secondo il Creditore, il Giudice non potrebbe liquidare anticipatamente le spese successive al deposito della sentenza, ragion per cui la parte vittoriosa ben potrebbe procedere a richiedere le spese di esecuzione direttamente nel precetto, non dovendo necessariamente, all’uopo, impugnare il capo della sentenza ritenuto non del tutto sufficiente.

Il Comune ha resistito con controricorso.

La decisione.

Con la pronuncia in commento la Cassazione ribadisce e puntella un importante principio di diritto. La condotta processuale, così come quella sostanziale, deve essere improntata ai primari canoni di correttezza e buona fede.

In particolare, la Corte ha dichiarato il ricorso di Caio inammissibile sia per difetto di specificità che di carenza di interesse ad agire (rispettivamente ex artt. 366, nn. 4 e 6, e 100 c.p.c., in quanto il ricorrente non ha spiegato le ragioni fondanti la propria pretesa e la moltiplicazione della richiesta economica finale, superiore di ben dieci volte al credito iniziale posto a base della sentenza di primo grado), sia per oggettivo abuso del processo.

L’insegnamento della giurisprudenza di legittimità evidenzia che il creditore che agisce a propria tutela, deve operare processualmente in modo coerente, logico e giuridicamente fondato.

Contrariamente, ove l’azione del creditore sia manifestatamente inammissibile, e/o censurabile con riferimento ai presupposti di fatto posti alla base della stessa, e le relative ragioni siano inconsistenti o inconferenti, perorare comportamenti processuali illegittimi comporta non solo l’inammissibilità del ricorso per evidente infondatezza, ma anche il vaglio della sussistenza di indici di mala fede o di colpa grave (del creditore) idonei ad applicare la condanna ex art. 96, co. 3 c.p.c.

Nel caso di specie, la Corte ha rilevato la condotta abusiva (del creditore) sia con riferimento al ricorso per cassazione, sia in relazione all’iniziativa in executivis intentata da Caio.

La Cassazione, infatti, richiamando il consolidato orientamento sul punto ha ribadito che l’abuso del processo “è una condotta caratterizzata da un elemento oggettivo ed uno soggettivo, integrati rispettivamente quando il mezzo processuale viene utilizzato per finalità differenti od ultronee ed illegittime rispetto a quelle per cui è stato previsto, e quando la condotta posta in essere violi palesemente i primari canoni di correttezza e buona fede a presidio dell’ordinamento.

La Corte sanziona la finalità pretestuosa del creditore, volta alla tutela di diritti generati ad hoc ed ingiustificatamente o ad arte al fine di danneggiare il debitore o la controparte e, quindi, non a tutelare diritti conculcati.

Pertanto, ogni iniziativa processuale volta a conseguire un ingiusto vantaggio alterando i fini naturali del processo deve considerarsi “abuso del processo”.

In specie, la Cassazione ha ribadito e precisato che “[…] L’abuso del processo è oggi implicitamente riconosciuto dal legislatore alla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 2 quinquies, lett. (d), ma già in precedenza ammesso dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. 1, Ordinanza n. 30539 del 26/11/2018, Rv. 651878-1; Sez. 6-1, Ordinanza n. 25210 del 11/10/2018, Rv. 651350-01; Sez. 1, Sentenza n. 24698 del 19/10/2017, Rv. 646580-01; Sez. 5, Sentenza n. 22502 del 02/10/2013, Rv. 628806-01). L’abuso del processo comporta l’inammissibilità della domanda (Sez. 2, Ordinanza n. 24071 del 26/09/2019, Rv. 655360-01). 4. Ciò posto in astratto, questa Corte rileva nel caso specifico che l’odierno ricorrente, contestando all’amministrazione comunale di avere indebitamente trattenuto 5 (cinque) Euro, ha rifiutato l’adempimento offerto il 30 luglio 2009, per pretendere poi – un anno e mezzo dopo – il pagamento dell’importo di Euro 633, dieci volte superiore a quello portato dal titolo esecutivo. Ricorre dunque tanto l’elemento oggettivo dell’abuso del processo, in quanto l’esecuzione minacciata dall’odierno ricorrente altro scopo non risulta avere che l’illegittima lievitazione del credito; quanto l’elemento soggettivo, dal momento che qualunque persona avrebbe potuto, con l’ordinaria diligenza, avvedersi della insostenibilità d’una simile censurabile tecnica moltiplicatoria dei crediti. […]”.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte ha poi dichiarato il ricorso del Creditore inammissibile ritenendo doversi applicare, per la soluzione della questione giuridica, il seguente principio di diritto “se il debitore ha l’obbligo (imposto dall’art. 1176 c.c.) di adempiere puntualmente la propria obbligazione, il creditore ha quello non meno cogente (imposto dall’art. 1175 c.c.) di collaborare con il creditore [ndr debitore] per facilitarne l’adempimento; di non aggravare inutilmente la sua posizione, di tollerare quei minimi scostamenti nell’esecuzione della prestazione dovuta che siano insuscettibili di arrecargli un apprezzabile sacrificio. Il creditore il quale, violando tali precetti, introduca un giudizio vuoi di cognizione, vuoi di esecuzione, il quale altro scopo non abbia che far lievitare il credito attraverso la moltiplicazione di spese di esazione esose ed evitabili, compie un abuso del processo, il quale comporterà l’inammissibilità della domanda sia in sede di cognizione, sia in sede di esecuzione, sia in sede di impugnazione”.

Pertanto, il creditore che agisce a tutela dei propri diritti, deve agire correttamente e al contempo astenersi dall’assumere condotte ingiustificate e, che, ragionevolmente – anche ove il comportamento del debitore non dovesse risultare del tutto logico, coerente o opportuno – possano ledere oltremodo la posizione del debitore medesimo. Il creditore è tenuto anche a sopportare, all’uopo, impercettibili pregiudizi che non siano idonei ad arrecare reali o apprezzabili sacrifici alle proprie ragioni, prevenendo così inutili azioni e, ciò, specie se quest’ultime si dovessero poi rivelare pretestuose o non fondatamente supportate in fatto e in diritto.

Caio contestando al Comune di avere indebitamente trattenuto le spese di tesoreria per la modica cifra di € 5,30 ha sostanzialmente precluso ed ostacolato pretestuosamente il tempestivo adempimento della P.A., al solo fine di agire in via esecutiva ad oltre un anno di distanza, e con lo specifico scopo di richiedere il pagamento di un importo decuplicato rispetto a quello di cui alla sentenza di primo grado.

Un simile condotta integra in sé tanto il citato elemento oggettivo dell’abuso del processo (il comportamento processuale essendo volto solo ad una illegittima “lievitazione del credito”), quanto il richiamato elemento soggettivo (in quanto, il creditore, se avesse agito diligentemente e vagliato attentamente l’incoerenza logico-giuridica della propria condotta avrebbe desistito dall’assumerla).

Avv. Rocco Luigi Eufemia