BLOCCO SFRATTI: INTERROGATIVI SULLA LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE DEL MILLEPROROGHE

Il Decreto Milleproroghe 2021 ha prorogato sino al 30 giugno 2021 la sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti giudiziali di rilascio di immobili, anche per uso non abitativo, originariamente disposta dal D.L. 17 marzo 2020 n. 18, convertito dalla Legge 24 aprile n. 27, sino al 30 giugno 2020, poi differita al 30 settembre 2020 e, ancora, al 31 dicembre 2020. Tale provvedimento si presta a critiche di illegittimità costituzionale. Vediamo perché.

La prima inibitoria del D.L. 17 marzo 2020 n. 18 investiva l’esecuzione di tutti i provvedimenti giudiziali di rilascio, indipendentemente dalla ragione alla base, nonché tutte le tipologie di beni (immobili a destinazione residenziale, commerciale ed alberghiera).

Il Milleproroghe invece limita la dilazione “ai provvedimenti di rilascio adottati per mancato pagamento del canone alle scadenze e ai provvedimenti di rilascio conseguenti all’adozione, ai sensi dell’art. 586, comma 2, c.p.c., del decreto di trasferimento di immobili pignorati ed abitati dal debitore e dai suoi familiari”; rimangono esclusi, quindi, gli sfratti per finita locazione, le sentenze (o le ordinanze) con cui sia stata disposta la restituzione di immobili occupati in difetto di titolo ovvero sulla base di un titolo invalido o inefficace, nonché  l’ingiunzione rivolta al debitore o al custode di rilasciare l’immobile trasferito all’aggiudicatario in seno al processo d’espropriazione, ex art. 586, comma 2,  se non adibito ad uso di civile abitazione del debitore e dei suoi famigliari.

Sebbene la novella sia di carattere più stringente rispetto al Cura Italia, è legittimo porsi domande circa la legittimità costituzionale di tale provvedimento, considerando che ci si trova di fronte alla a) limitazione del diritto di proprietà privata (il proprietario, che abbia concesso il bene in locazione al conduttore moroso, viene privato della facoltà di godere del proprio bene immobile), b) alla lesione della libertà di iniziativa economica privata (qualora il contratto attributivo di diritti di godimento a terzi sull’immobile si inserisca all’interno di un ciclo produttivo), c) allo svuotamento del provvedimento giudiziale di rilascio o di sfratto (una sospensione della sua esecuzione di oltre 16 mesi (periodo compreso tra il 18 marzo 2020 ed il 30 giugno 2021, significa lasciare in un limbo il diritto soggettivo che, tramite il ricorso all’autorità giudiziaria, si è inteso tutelare) nonché d) alla sproporzionata dilazione del processo esecutivo (che, se protrattosi per oltre tre anni, è considerato di durata irragionevole dall’art. 2, comma 2 bis, della Legge 24 marzo 2001, n. 89).

La ratio alla base di tale provvedimento sembra trovare ragione nell’esigenza di protezione dei conduttori che, in ragione delle difficoltà economiche provocate dall’emergenza epidemiologica e dall’applicazione dei conseguenti strumenti legislativi di contenimento, abbiano perduto occupazione lavorativa o mezzi di sostentamento per il pagamento del canone.

Tuttavia, pare non essere stato considerato che la compromissione dei diritti soggettivi costituzionalmente riconosciuti alla persona possa essere discrezionalmente disposta dal legislatore solo per garantire l’adempimento degli inderogabili doveri di solidarietà politica, economica e sociale di cui all’art. 2 Cost. e purché nel rispetto di criteri di proporzionalità, ragionevolezza ed efficacia, con salvezza del contenuto essenziale del diritto sacrificato.

Sennonché, l’interdizione delle esecuzioni, così come disciplinata nel Cura Italia e nei successivi provvedimenti non appare affatto proporzionata perché investe indistintamente tutti i provvedimenti di sfratto per morosità e, dunque, anche quelli convalidati per inadempimenti di non scarsa importanza verificatisi in epoca anteriore alla dichiarazione dello stato emergenziale. Neppure appare ragionevole perché sottopone allo stesso trattamento normativo situazioni diverse: pensiamo alla morosità colpevole e morosità volontaria, oppure inadempimenti pregressi, coevi e successivi all’epidemia, etc); men che meno potrebbe dirsi efficace perché non pare, allo stato, accompagnata da alcun meccanismo, sovvenzionato dalla fiscalità generale, per consentire ai Comuni di reperire un alloggio per i conduttori in situazioni di effettiva ed incolpevole indigenza; tantopiù non preserva il nucleo fondamentale dei diritti che sono stati limitati perché non viene riconosciuto alcun indennizzo al proprietario per l’indebita protrazione dei tempi esecutivi e non consente a quest’ultimo di ottenere il rilascio neppure nell’ipotesi in cui vi sia un rischio serio, concreto e comprovato che la permanenza del conduttore all’interno dell’immobile possa arrecare un pregiudizio all’integrità del bene.

Poi, il procrastinarsi della misura trasforma il provvedimento processuale in uno strumento di carattere assistenziale, essendo remota la possibilità in concreto concreta che i locatori possano ottenere dal conduttore il risarcimento per equivalente dei danni arrecati dall’indebita occupazione dell’immobile.

Si consideri, ancor più gravemente, che il blocco degli sfratti non fa una valutazione comparativa fra le condizioni economiche del locatore e quelle del conduttore, con la conseguenza che ben può essere quest’ultimo a trovarsi in uno stato di indigenza aggravato dall’inadempimento del conduttore.

Già con la sentenza n. 310 del 7 ottobre 2003 la Corte Costituzionale affermava che “La sospensione della esecuzione per rilascio costituisce un intervento eccezionale che può incidere solo per un periodo transitorio ed essenzialmente limitato sul diritto alla riconsegna di un immobile sulla base di un provvedimento giurisdizionale legittimamente ottenuto … In altri termini, la procedura esecutiva attivata da parte del singolo soggetto provvisto di titolo esecutivo giurisdizionale, non può essere paralizzata indefinitivamente con una serie di pure e semplici proroghe, oltre un ragionevole limite di tollerabilità. Non si intende con ciò negare che il legislatore debba farsi carico delle esigenze di coloro che si trovano in particolari situazioni di disagio, in quanto appartenenti a categoria protetta, ricorrendo ad iniziative del settore pubblico o accordando agevolazioni o ricorrendo ad ammortizzatori sociali; ma non può indefinitivamente limitarsi, per di più senza alcuna valutazione comparativa, a trasferire l’onere relativo in via esclusiva a carico del privato locatore, che potrebbe trovarsi in identiche o anche peggiori situazioni di disagio”.

Posizione, questa, ribadita anche dalla sentenza n. 62 del 12 febbraio 2004 nonché dalla n. 155 del 28 maggio 2004.

Va sottolineato, in argomento, come i precedenti interventi della Corte siano stati resi su normative poste a salvaguardia di persone particolarmente fragili, come portatori di disabilità o gli anziani, destinati ad essere ricoverati presso strutture socio-sanitarie non appena gli enti pubblici fossero stati pronti; situazioni, queste, nelle quali la debolezza del conduttore era in re ipsa e la paralisi dello sfratto era stata soltanto determinata dall’esigenza per i Comuni di reperire al soggetto “fragile” un alloggio alternativo.

La sequenza di provvedimenti legislativi di cui si è dato invece qui conto abbraccia l’intero insieme dei provvedimenti di rilascio e, non effettuando alcuna separazione di carattere individuale in relazione alle cause della morosità ed alle condizioni delle parti, genera una evidente e grave distorsione delle regole in materia di rapporti etico-sociali.

Lo scenario al quale assisteremo sarà la paralisi delle locazioni immobiliari ove i proprietari si vedranno costretti a concedere in locazione i loro beni solo in presenza o di canoni estremamente appetibili oppure a condizioni, anche dal punto di vista delle garanzie bancarie e depositi cauzionali, non certamente di favore per i conduttori.

Avv. Martina Tognolo