Risoluzione consensuale del contratto preliminare di compravendita: la parte non inadempiente ha diritto a recedere e a ritenere la caparra?

La risposta è negativa.

Con ordinanza n. 17477 del 20 agosto 2020 la Corte di Cassazione ha chiarito che se le parti hanno risolto consensualmente il contratto, è successivamente precluso alla parte non inadempiente recedere e pretendere la condanna dell’altra parte al pagamento del doppio delle somme versate a titolo di caparra.

La vicenda

La statuizione della Corte prende le mosse dall’impugnazione della sentenza della Corte d’Appello di Venezia che aveva rigettato la domanda proposta P.M. nei confronti della società T. s.r.l., avente ad oggetto l’accertamento della legittimità del recesso operata dal primo dal contratto preliminare di compravendita stipulato con la seconda e la condanna di quest’ultima al pagamento del doppio della caparra ex art. 1385.

Nel respingere la domanda, la Corte lagunare osservava che dallo scambio di corrispondenza tra le parti versato in atti risultava che la società promittente venditrice aveva aderito alla proposta di risoluzione consensuale del contratto inoltrata dal legale del promissario acquirente e aveva restituito tanto la caparra quanto l’acconto ricevuto. Di talché, lo scioglimento consensuale del rapporto precludeva alla parte non inadempiente di recedere.

P.M. proponeva, dunque, ricorso per Cassazione avverso detta pronuncia, articolando due motivi.

In ossequio al principio fondato sulla necessità di ricercare e indicare la “ragione più liquida”, i Giudici di Piazza Cavour esaminavano unicamente il secondo motivo di ricorso, avanzato ex art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c. per violazione e falsa applicazione dell’art. 1385 c.c..

A detta del ricorrente, dall’esame della corrispondenza de qua non emergeva alcuna risoluzione consensuale del contratto in quanto P.M. aveva dichiarato che avrebbe accettato la restituzione di quanto versato, a titolo di acconto, con riserva di agire in giudizio per ottenere il doppio della caparra versata.

Il Collegio, tuttavia, ha rigettato il ricorso dichiarandolo infondato.

Il ragionamento della Suprema Corte

Innanzitutto, gli Ermellini hanno ribadito il granitico orientamento giurisprudenziale per cui, in tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nella sola ipotesi di motivazione inadeguata ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e ss., escludendo che nella fattispecie potesse essere rimesso in discussione l’accertamento dell’intervenuto scioglimento del contratto, in data antecedente all’esercizio del diritto di recesso.

In secondo luogo, il Supremo Consesso ha ritenuto inapplicabile al caso concreto il ragionamento del ricorrente, secondo cui in ipotesi di versamento di una somma di denaro a titolo di caparra confirmatoria, la parte adempiente che abbia agito per la risoluzione del contratto ed il risarcimento del danno, può, in secondo grado, in sostituzione di dette pretese, chiedere il recesso dal contratto e la ritenzione della caparra.

La ratio della scelta accordata alla parte non inadempiente si fonda su due considerazioni:

  • tali domande hanno minore ampiezza rispetto a quelle originariamente proposte;
  • le stesse possono essere proposte anche nel caso in cui si sia già verificata la risoluzione del contratto per una delle cause previste dalla legge (artt. 1454, 1455, 1457 c.c.), dato che rientra nell’autonomia privata la facoltà di rinunciare agli effetti della risoluzione del contratto per inadempimento.

Secondo la Corte, però, detta ipotesi non ricorre nel caso di specie, “in quanto la rinuncia unilaterale agli effetti della risoluzione è legittima, se quest’ultima è prodotta dall’esercizio dei diritti riconosciuti alla parte non inadempiente, non se, come nella specie, le parti hanno consensualmente risolto il contratto, ponendo in essere un contrarius actus”.

Dott.ssa Letizia Bortolaso