Licenziamenti affetti da vizi formali e procedurali: la Corte Costituzionale continua a bocciare il criterio di calcolo automatico delle indennità introdotto dal jobs act e afferma che l’anzianità di servizio del lavoratore costituisce la base di partenza nella valutazione del giudice

Con sentenza n. 150/2020 pubblicata il 26 luglio 2020 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 del d. lgs. 4 marzo 2015, n. 23 limitatamente alle parole “di importo pari a una mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio”.

Così facendo il Giudice delle leggi, anche per ciò che riguarda la tutela spettante al Lavoratore in caso di licenziamento affetto da vizi formali o procedurali, continua a perpetrare l’opera di demolizione del sistema di calcolo automatico delle indennità introdotta con il Jobs Act; opera di demolizione iniziata già con la sentenza n. 194 del 2018.

Nel merito della questione, con la pronuncia in esame, la Consulta è partito dal presupposto secondo il quale “le prescrizioni formali, la cui violazione la disposizione censurata ha inteso sanzionare con la tutela indennitaria, rivestono una essenziale funzione di garanzia, ispirata a valori di civiltà giuridica.  Nell’ambito della disciplina dei licenziamenti, il rispetto della forma e delle procedure assume un rilievo ancora più pregnante, poiché segna le tappe di un lungo cammino nella progressiva attuazione dei princìpi costituzionali.”

Nello specifico, se da una parte la tutela applicabile in caso di violazione dell’obbligo di motivazione trova la propria ragion d’essere perché “Il datore di lavoro è … obbligato a dar conto in maniera sollecita e circostanziata delle giustificazioni per l’applicazione della sanzione più grave, secondo il principio di buona fede che permea ogni rapporto obbligatorio e vincola le parti a comportamenti univoci e trasparenti”; dall’altra “Le previsioni dell’art. 7 della legge n. 300 del 1970, richiamate dalla disposizione oggi censurata, assegnano un ruolo centrale al principio del contraddittorio, più che mai cruciale nell’esercizio di un potere privato che si spinge fino a irrogare la sanzione espulsiva”.

Ed è sulla scorta di queste importanti premesse che la Consulta arriva ad allineare le proprie conclusioni volte ad affermare l’illegittimità del criterio di calcolo automatico a quelle già rese con la precedente sentenza n. 194 del 2018 pronunciatasi con riferimento all’art. 3 d. lgs. N. 23 del 2015.

Oltre quanto sopra, è importante evidenziare uno dei passaggi conclusivi della pronuncia in cui la Consulta evidenzia che, nell’ambito dei vari elementi che il Giudice deve tenere in considerazione per stabilire le indennità spettanti al Lavoratore licenziato in base ad un recesso caratterizzato da vizi formali o procedurali, “l’anzianità di servizio … rappresenta la base di partenza della valutazione” mentre soltanto “In chiave correttiva” e “con apprezzamento congruamente motivato, il giudice potrà ponderare anche altri criteri desumibili dal sistema, che concorrano a rendere la determinazione dell’indennità aderente alle particolarità del caso concreto. Ben potranno venire in rilievo, a tale riguardo, la gravità delle violazioni, enucleata dall’art. 18, sesto comma, dello statuto dei lavoratori, come modificato dalla legge n. 92 del 2012, e anche il numero degli occupati, le dimensioni dell’impresa, il comportamento e le condizioni delle parti, richiamati dall’art. 8 della legge n. 604 del 1966”.

Avv. Francesco Chiappetta