COVID-19 E AFFITTO DI AZIENDA: LA POSIZIONE DEL TRIBUNALE DI ROMA

 Con ordinanza del 29 maggio 2020, emessa nell’ambito di un procedimento cautelare d’urgenza ex art. 700 c.p.c., il Tribunale di Roma, V Sezione Civile, nella persona del Giudice Dott. Fabio Miccio, si è pronunciato sulla sorte dei canoni locativi di un’immobile ad uso commerciale maturati nel periodo del lock down.

In applicazione del combinato disposto degli artt. 1256 e 1464 c.c., prendendo le mosse dall’obbligazione del locatore di garantire al conduttore il pacifico godimento della cosa locata, il Giudice ha stabilito che, trattandosi nel caso di specie di un’ipotesi impossibilità parziale temporanea della prestazione, il riflesso sull’obbligo di corrispondere il canone è quello di subire una riduzione destinata a cessare nel momento in cui la prestazione del locatore possa tornare ad essere compiutamente eseguita.

La vicenda.

In sintesi, con ricorso ex art. 700 c.p.c., depositato il 16 aprile 2020, la società ricorrente deduceva:

  • di aver stipulato con altra società, proprietaria di un centro commerciale, un contratto di affitto di ramo d’azienda in forza del quale esercitava la propria attività consistente nella vendita al dettaglio di articoli di pelletteria, obbligandosi al pagamento mensile del corrispettivo e delle spese comuni del centro commerciale;
  • di aver rilasciato, a garanzia delle obbligazioni assunte, due fideiussioni bancarie;
  • che a causa della grave situazione epidemiologica in essere era stata costretta a sospendere l’esercizio della propria attività a far data dall’11 marzo 2020;
  • che controparte, a fronte di tale gravissima contingenza, si era limitata a comunicare che avrebbe solamente posticipato la fatturazione dei canoni e delle spese comuni al mese di maggio 2020.

In diritto, la conduttrice osservava che:

  1. i recenti provvedimenti governativi, nel prevedere varie misure di sospensione di carattere specifico e settoriale, potevano giustificare una misura tesa alla sospensione dei termini di pagamento e dell’operatività di forme di garanzia;
  2. nel caso di specie, si versava in una situazione di impossibilità sopravvenuta della prestazione, quantomeno temporanea, ex 1256, co. 2, c.c., essendo divenuto impossibile non solo usufruire dei locali ma di tutto il complesso di beni facenti parte del ramo d’azienda, rendendo così legittima la richiesta di sospensione della corresponsione del canone di locazione e delle spese quanto meno per sei mesi;
  3. la propria prestazione era divenuta anche eccessivamente onerosa ai sensi dell’art. 1467 c.c., sussistendo sia l’intervenuto squilibrio delle prestazioni contrattuali, non prevedibile al momento della stipulazione del contratto, sia la riconducibilità dell’eccesiva onerosità ad eventi straordinari e imprevedibili;
  4. anche in considerazione dell’obbligo di rinegoziazione quale applicazione del generale principio di buona fede oggettiva ed imperativa di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., la richiesta di sospensione dei pagamenti non era ulteriormente differibile;
  5. quanto al periculum in mora, la sopravvenuta inattività e l’inevitabile perdita di ogni guadagno la esponevano ad una grave ed irreparabile compromissione della propria libertà negoziale e del proprio patrimonio.

Con decreto emesso inaudita altera parte, il Tribunale ordinava alla resistente di non escutere le fideiussioni, fissando contestualmente l’udienza per la conferma, modifica o revoca della misura concessa.

Si costituiva la società resistente contestando la sussistenza sia del fumus boni iuris che il periculum in mora.

In primo luogo, la resistente osservava che, già nei mesi precedenti, la ricorrente si era resa gravemente morosa nel pagamento dei canoni di affitto e delle spese e che, ciò nonostante, la stessa si era resa disponibile alla valutazione di una soluzione bonaria.

In punto di diritto, poi, deduceva che:

  1. il contratto stipulato fra le pari disciplinava espressamente l’ipotesi in cui durante l’esecuzione del medesimo sorgessero eventi eccezionali (forza maggiore) quali l’emergenza sanitaria in corso, esonerando la locatrice da qualsiasi responsabilità derivante da tali eventi, tra cui doveva rientrare anche la chiusura degli esercizi commerciali imposta dal Governo;
  2. l’art. 91, co. 1, del decreto c.d. Cura Italia, si limitava ad individuare ed introdurre, con riferimento al rispetto delle misure di contenimento (incluse le chiusure degli esercizi commerciali), un elemento suscettibile di valutazione ai fini della determinazione della (sola) responsabilità del debitore che non adempia, parzialmente o del tutto, alle proprie obbligazioni, senza liberare il debitore dalle proprie obbligazioni contrattuali;
  3. nel caso di specie non vi era alcuna impossibilità sopravvenuta, ma semmai solo una difficoltà soggettiva della ricorrente ad adempiere, derivante dall’interruzione dei flussi di cassa, che non consente l’applicazione dell’art. 1256, co.2, c.c.;
  4. l’affittuaria, nei due mesi di lock down, non aveva potuto sfruttare pienamente la prestazione fornitagli dalla locatrice, ma la ridotta utilità della prestazione della resistente non faceva venire meno la controprestazione, né la rendeva oggettivamente impossibile;
  5. l’art. 1467 c.c. non consentiva in alcun modo di richiedere la sospensione della prestazione dovuta, ma si limitava a consentire alla controparte di richiedere la risoluzione del contratto;
  6. infine, quanto alle garanzie, era pacifico che ci si trovasse di fronte a contratti autonomi di garanzia e non a garanzie “fideiussorie” accessorie.

La decisione del Tribunale.

Interrogandosi sulle conseguenze della sospensione, dall’11 marzo 2020 sino al 18 maggio 2020, delle attività al commercio al dettaglio di beni diversi da generi alimentari, il Giudice investito della causa ha sostanzialmente aderito – seppur in parte motivando diversamente – alle tesi della società resistente e, previa revoca della misura concessa inaudita altera parte, ha rigettato il ricorso.

Il Tribunale capitolino ha rinvenuto la soluzione della questione nel combinato disposto degli artt. 1256 e 1464 c.c., inquadrando la fattispecie  in una (del tutto peculiare) ipotesi di impossibilità della prestazione della resistente allo stesso tempo parziale (perché la prestazione della locatrice era divenuta impossibile quanto all’obbligo di consentire all’affittuaria, nei locali aziendali, l’esercizio del diritto a svolgere attività di vendita al dettaglio, ma era rimasta possibile, ricevibile ed utilizzata nella più limitata funzione di fruizione del negozio quale magazzino e deposito merci) e temporanea (perché limitata nel tempo, per poi venir meno dal 18 maggio 2020).

In conclusione, nonostante il rigetto del ricorso, il Tribunale ha affermato che, avendo la resistente potuto eseguire (pur senza colpa, ma per factum principis) dall’11 marzo al 18 maggio 2020 una prestazione solo parzialmente conforme al regolamento contrattuale, la conduttrice avesse diritto ex art. 1464 c.c. ad una riduzione del canone limitatamente al solo periodo di impossibilità parziale, riduzione da operarsi, nella sua determinazione quantitativa, avuto riguardo:

  1. a) alla sopravvissuta possibilità di utilizzazione del ramo di azienda nella più limitata funzione di ricovero delle merci, correlata al diritto di uso dei locali;
  2. b) al fatto che il ramo di azienda era pur sempre rimasto nella materiale disponibilità della ricorrente.

Quanto alle somme maturate per morosità pregresse (generatesi in tempi e per ragioni del tutto estranee alla vicenda c.d. Coronavirus), invece, il Giudice ha riconosciuto la loro integrale e puntuale debenza, unitamente agli oneri comuni diretti ed indiretti, in quanto connessi alla disponibilità materiale dei locali rimasta, anche nel periodo di chiusura, in capo alla ricorrente.

Dott.ssa Letizia Bortolaso

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