Con sentenza n. 8943 del 6 febbraio 2020, depositata il 14 maggio 2020, la Corte di Cassazione ha stabilito che la diffida ad adempiere contenente l’assegnazione di un termine inferiore a quindici giorni può determinare la risoluzione di diritto del contratto solo in presenza dei presupposti giuridici di operatività del meccanismo risolutorio.

La vicenda

Il Tribunale di Milano, con sentenza del 6 maggio 2014, aveva dichiarato risolto di diritto il contratto di licenza marchio concluso tra due società operanti nel settore calzaturiero, ritenendo legittimo il termine ad adempiere – inferiore a quindici giorni – indicato nella diffida.

Successivamente, con sentenza del 19 aprile 2016, la Corte d’Appello di Milano aveva rigettato gli appelli, principale e incidentale, proposti, confermando la legittimità dell’assegnazione all’intimato di un termine inferiore rispetto a quello previsto dall’art. 1454, comma 2, c.c..

La sentenza di secondo grado veniva, quindi, impugnata per cassazione, sulla base di tre motivi: tra questi, la violazione o falsa applicazione degli artt. 1454 e 1455 c.c., per avere la Corte d’Appello affermato che la diffida ad adempiere in questione, pur in assenza dei presupposti di legge, fosse idonea a determinare la risoluzione di diritto del contratto de quo.

La decisione della Corte

Può ritenersi legittimo un termine ad adempiere inferiore a quindici giorni, in assenza delle condizioni di cui all’art. 1454 c.c.?

La disposizione suddetta stabilisce, al secondo comma, che il termine assegnato con la diffida ad adempiere non possa essere inferiore a quindici giorni, “salvo diversa pattuizione delle parti o salvo che, per la natura del contratto o secondo gli usi, risulti congruo un termine minore”.

Ebbene, nel caso in esame il contratto non prevedeva un termine diverso da quello di legge, né poteva ritenersi decisiva la data di invio della diffida, che è atto recettizio, rilevando unicamente il momento in cui l’atto era pervenuto nella sfera di conoscenza del destinatario.

Non solo. Soffermandosi sul giudizio di congruità del termine assegnato, la Corte ha ritenuto irrilevante l’invio di precedenti solleciti al debitore, non attenendo tale circostanza alla natura del contratto, ma ad un comportamento omissivo di quest’ultimo. Pertanto, in caso di reiterazione di più atti di diffida ad adempiere, il termine di cui all’art. 1454 c.c. decorre dall’ultimo di essi.

può ritenersi significativa, ai fini del giudizio di congruità, la mancata contestazione dell’adeguatezza del termine da parte del debitore o, più in generale, la sua condotta.

In buona sostanza, la congruità del termine minore assegnato al debitore non rileva in sé e per sé, ma solo in rapporto alla natura del contratto o agli usi.

La Cassazione ha, quindi, precisato che laddove venga assegnato all’intimato un termine inferiore ai quindici giorni, devono ritenersi irrilevanti:

  • i precedenti solleciti inviati al debitore per l’adempimento;
  • la mancata contestazione del termine da parte del debitore;
  • la mancata indicazione, da parte del debitore, del diverso termine ritenuto congruo;
  • il protrarsi dell’inadempimento del debitore dopo la scadenza del termine assegnato.

In conclusione, dunque, la Corte ha affermato il principio di diritto secondo cui “la diffida illegittimamente intimata per un termine inferiore ai quindici giorni è di per sé inidonea alla produzione di effetti estintivi nei riguardi del rapporto costituito tra le parti”.

Avv. Pierangela Rodilosso

p.rodilosso@nexumlegal.it

NexumLegal – Dipartimento Diritto Civile, Commerciale e Contenzioso

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