L’EPILOGO DEL CASO FOODORA: LA SOLUZIONE DATA DALLA CASSAZIONE AL “NODO GORDIANO” DELLE COLLABORAZIONI ETERO-ORGANIZZATE

Con una sentenza destinata a tracciare (dal punto di vista giuslavoristico) il prossimo futuro della GigEconomy la Suprema Corte di Cassazione ha messo fine alla vicenda della tutela applicabile ai c.d. riders di Foodora.

Il “nodo gordiano” sottoposto all’attenzione della Suprema Corte di Cassazione

Come noto, il “nodo gordiano” oggetto di ampio dibattito in dottrina e, con il caso Foodora, sottoposto alla Corte di Cassazione, chiedeva di chiarire se le forme di collaborazione etero-organizzata contemplate dall’art. 2 del d. lgs. n. 81 del 2015 dovessero essere collocate nel campo del lavoro autonomo, del lavoro subordinato, o se invece costituissero un tertium genus a sé stante.

La soluzione adottata dalla Suprema Corte

Ebbene la Corte di Cassazione, con un atteggiamento che ricorda proprio la conclusione del mito del “nodo gordiano”:

– dopo aver ricordato che con l’abrogazione delle disposizioni relative al contratto di lavoro a progetto di cui agli artt. da 61 a 69bis del d. lgs. n. 276 del 2003 ed il mantenimento dell’art. 409 Cod. Proc. Civ. “è venuta meno […] una normativa che, avendo previsto dei vincoli e delle sanzioni, comportava delle garanzie per il lavoratore, mentre è stata ripristinata una tipologia contrattuale più ampia che, come tale comporta il rischio di abusi”;

– pronunciandosi sulle forme di collaborazione etero-organizzata ex art. 2, del d. lgs. n. 81 del 2015, in maniera perentoria afferma: “non ha decisivo senso interrogarsi sul se tali forme di collaborazione […] siano collocabili nel campo della subordinazione ovvero dell’autonomia, perché ciò che conta è che per esse, in una terra di mezzo dai confini labili, l’ordinamento ha statuito espressamente l’applicazione delle norme sul lavoro subordinato, disegnando una norma di disciplina”.

Ciò perché il legislatore, con quella norma “ha selezionato taluni elementi ritenuti sintomatici ed idonei a svelare possibili fenomeni elusivi delle tutele previste per i lavoratori” ed ha stabilito che “quando l’etero organizzazione, accompagnata dalla personalità e dalla continuità della prestazione, è marcata al punto da rendere il collaboratore comparabile ad un lavoratore dipendente, si impone una protezione equivalente e, quindi, il rimedio dell’applicazione integrale della disciplina del lavoro subordinato”.

Insomma, per gli Ermellini “al verificarsi delle caratteristiche delle collaborazioni individuate dall’art. 2, comma 1, del d. lgs. n. 81 del 2015, la legge ricollega imperativamente l’applicazione della disciplina della subordinazione” e del resto “la norma non contiene alcun criterio idoneo a selezionare tra la disciplina applicabile, che non potrebbe essere affidata ex post alla variabile interpretazione dei singoli giudici”.

Riflessioni conclusive

Le argomentazioni svolte dalla Suprema Corte di Cassazione con la pronuncia in commento non sembrano ammettere repliche e saranno oggetto per lungo tempo di ampio dibattito ai più vari livelli.

Con il presente contributo, senza voler in alcun modo accostarsi a tematiche e questioni di certo non adatte ad essere affrontate e sbrogliate in una newsletter, si permette di far presente che, già soltanto da un attento esame della motivazione resa dalla Suprema Corte di Cassazione, risulta che le conclusioni volte ad una applicazione “generalizzata” della disciplina del lavoro subordinato alle collaborazioni etero-organizzate si rivelano meno solide di ciò che appaiono. E difatti è lo stesso Supremo Collegio che:

– da una parte, ammette: “non possono escludersi situazioni in cui l’applicazione integrale della disciplina della subordinazione sia ontologicamente incompatibile con le fattispecie da regolare”;

– dall’altra in ogni caso ricorda “il potere del giudice di qualificare la fattispecie riguardo all’effettivo tipo contrattuale che emerge dalla concreta attuazione della relazione negoziale”.

In conclusione, queste ultimissime considerazioni se da una parte si vogliono porre come un primissimo approccio critico alla motivazione resa dalla Suprema Corte, dall’altra vogliono anche porre l’accento sul fatto che, in sede giudiziale, anche successivamente alla sentenza in commento, è tutt’altro che scontata una decisione che presuppone l’applicazione delle tutele del lavoro subordinato ogniqualvolta, nel caso di specie, venga lamentata l’asserita violazione della disciplina di cui all’art. 2 del d. lgs. n. 81 del 2015.

Avv. Francesco Chiappetta