Se la riparazione o sostituzione è impossibile o eccessivamente onerosa, il venditore è tenuto al risarcimento del danno?

Se la riparazione o sostituzione di un bene di consumo risulta impossibile o eccessivamente onerosa per il venditore, l’acquirente ha comunque diritto al risarcimento del danno. Così si è pronunciata la Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 1082 dell’8 ottobre 2019, pubblicata il 20 gennaio 2020.

Il fatto

La vicenda coinvolgeva il proprietario di un fabbricato, il quale, avendo acquistato una partita di larice da posizionare sul tetto dell’immobile, ne lamentava la difettosità e chiedeva, pertanto, la condanna del venditore all’eliminazione dei vizi e, in subordine, al risarcimento dei danni patiti, consistenti nelle spese necessarie per il ripristino.

Il Tribunale adito rigettava la domanda principale volta ad ottenere l’eliminazione dei vizi, ritenendola eccessivamente onerosa per il venditore. Accoglieva, invece, la domanda subordinata di risarcimento del danno, quantificato in € 25.303,73.

La decisione della Corte d’Appello: negato il risarcimento del danno

La Corte d’Appello di Torino aveva riformato la sentenza di primo grado, negando al compratore qualsiasi risarcimento.

In particolare, la Corte di merito aveva evidenziato come, non avendo formato la domanda principale di eliminazione dei vizi oggetto di impugnazione, si fosse formato giudicato interno sull’eccessiva onerosità dell’intervento di ripristino. Di conseguenza, il danno teoricamente risarcibile non poteva consistere nella spesa occorrente per la riparazione del tetto quanto, semmai, nel costo dell’eliminazione del danno estetico residuato. Quest’ultimo, tuttavia, non aveva formato oggetto della domanda risarcitoria e, pertanto, la Corte ne aveva omesso la liquidazione.

Non solo. Il Giudice di secondo grado aveva, in via più generale, negato la risarcibilità del danno derivante da difetti di conformità del bene venduto, per non essere tale rimedio espressamente contemplato dal Codice del consumo (D.Lgs. n. 206/2005).

Il venditore è comunque tenuto al risarcimento del danno?

Con la sentenza in esame, la Suprema Corte ha, invece, statuito che i rimedi ordinari stabiliti dall’ordinamento interno devono sempre concorrere con quelli previsti dalla normativa specifica sulla tutela del consumatore, così evidenziando come quest’ultima non possa in alcun modo ridurre le garanzie poste a tutela dello stesso.

In buona sostanza, è vero che il risarcimento del danno non è contemplato tra i rimedi che il consumatore può far valere nei confronti del professionista ai sensi dell’art. 130 del Codice del consumo, ovvero la riparazione del bene, la sostituzione, la riduzione del prezzo e la risoluzione del contratto. Ma è pur vero che il diritto al risarcimento del danno rientra tra quelli riconosciuti al consumatore da altre norme dell’ordinamento giuridico italiano, secondo quanto previsto dall’art. 135 del codice suddetto.

La Suprema Corte ha richiamato, sul punto, il consolidato orientamento secondo cui il risarcimento del danno è volto a porre il compratore in una posizione economicamente equivalente non a quella in cui si sarebbe trovato se non avesse concluso il contratto o se l’avesse concluso a un prezzo inferiore, ma a quella in cui si sarebbe trovato se la cosa fosse stata immune da vizi (Cass. n. 1153/1995; Cass. n. 4161/2015).

In conclusione, l’eccessiva onerosità della sostituzione per il venditore non può rappresentare un limite ai diritti riconosciuti al compratore dall’ordinamento, tanto più quando la domanda è volta ad ottenere il risarcimento di tutti i danni subiti in conseguenza dei vizi del bene, senza ulteriori specificazioni.

Avv. Pierangela Rodilosso