Si va via via ridisegnando il quadro normativo relativo ai reati presupposto previsti dal catalogo del d.lgs. 231/01 in materia di responsabilità amministrativa degli Enti.

Sino ad oggi il Legislatore non ha ancora provveduto ad inserire disposizioni, né in materia fiscale né in materia tributaria, che contemplassero la responsabilità dell’Ente per la commissione di reati tributari. Con l’approvazione in data 5 luglio 2017 della Direttiva n. 2017/1371 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 5 luglio 2017, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale, c.d. “Direttiva PIF”, lo scenario nazionale potrebbe mutare notevolmente.

Il recepimento interno della Direttiva, previsto entro il 6 luglio 2019, tarda ad arrivare. L’adeguamento della normativa interna a quella comunitaria dovrebbe comportare, però, l’ingresso nel catalogo dei “reati 231” anche di alcuni reati tributari comunemente denominati “frodi IVA“.

L’uso del condizionale appare obbligatorio ma, considerando il contenuto dell’art.6 della Direttiva, appare verosimile che il legislatore nazionale dovrà necessariamente occuparsi del d.lgs.231/01, che subirà gli effetti della normativa comunitaria.

Secondo la Direttiva, il raggio di applicabilità di tali previsioni dovrà essere circoscritto “In materia di entrate derivanti dalle risorse proprie provenienti dall’IVA”; inoltre “la presente direttiva si applica unicamente ai casi di reati gravi contro il sistema comune dell’IVA. Ai fini della presente direttiva, i reati contro il sistema comune dell’IVA sono considerati gravi qualora le azioni od omissioni di carattere intenzionale secondo la definizione di cui all’articolo 3, paragrafo 2, lettera d), siano connesse al territorio di due o più Stati membri dell’Unione e comportino un danno complessivo pari ad almeno 10.000.000 EUR”.

Quanto ci coglie impreparati la Direttiva PIF?

Le condotte che il legislatore europeo chiede di criminalizzare, per la maggior parte sono già punite nel nostro ordinamento con le autonome figure di reato, previste dal d.lgs.74/2000 – Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205. Ciò che oggi, però, non rende conforme la normativa domestica a quella europea, è la mancata predisposizione di un criterio di imputazione sanzionatorio, secondo lo schema della “colpa di organizzazione”, verso le persone giuridiche per tali reati.

Nell’ottica di un presumibile ingresso delle c.d. “frodi che ledono gli interessi finanziari dell’Unione Europea”, tra i reati presupposto del d.lgs.231/01 è bene che le realtà aziendali, anche quelle che vedevano l’adozione del Modello organizzativo un adempimento lontano dalle proprie realtà, inizino ad approcciarsi al tema anche in un’ottica preventiva e di compliance aziendale ormai di più ampio respiro.

L’alert non deve riguardare solamente società che non hanno ancora adottato un proprio modello di organizzazione ma, anche e soprattutto, le società che ne hanno già efficacemente adottato uno.

Orbene, in una visione preventiva, in considerazione delle condizioni dichiarate (solo) a livello comunitario, una corretta gestione del rischio 231 all’interno degli enti, dovrebbe portare il board a riflettere se la propria realtà potrebbe essere contagiata da questa ulteriore rivoluzione penale-tributaria, sottoponendo l’ente ad un assessment di tale matrice, coniugando le esigenze di compliance con l’oramai sfatato tabù dei reati tributari quali “grandi assenti” tra i reati presupposto.